Fiorini (AIPAC): «Più fatica, meno tattica. La preparazione atletica è la grande assente nel nostro calcio»

Firenze, 1° luglio 2014 – Vi proponiamo un’interessante intervista rilasciata al Corriere della Sera dal presidente dell’Associazione Italiana Preparatori Atletici Calcio, Stefano Fiorini, nella quale viene analizzato il “problema” della preparazione fisica del nostro calcio.

Al Mondiale si corre che è un piacere e la differenza di passo che ha avuto l’Italia nella sua mesta passeggiata verso l’uscita di servizio è ogni giorno più evidente. Ma il problema parte da lontano. «Noi corriamo troppo poco — dice Stefano Fiorini, presidente dell’Associazione italiana preparatori atletici di calcio (Aipac) — e non è certo solo un problema della nazionale di Prandelli: è un problema generale del nostro calcio. I nostri azzurri under 17, 18, 19 quando tornano dalle sfide coi pari quota di mezza Europa riferiscono che fanno una fatica immane dal punto di vista dello sforzo fisico. Al quale evidentemente non sono abituati».

Ma una volta non si diceva il contrario: che si lavorava cioè troppo su questo a discapito di tecnica e tattica?

«C’è stato sicuramente un periodo in cui si privilegiava l’aspetto atletico, rispetto alle altre componenti: se paragoniamo l’Italia di Francia ’98 a questa noteremo differenze sostanziali. Adesso però siamo passati all’eccesso opposto».

Ovvero?

«Credo che ci sia un sovraccarico tecnico e tattico dei calciatori, che vengono riempiti di conoscenze sull’avversario, attraverso analisi della partita che affaticano la mente, a discapito dell’allenamento. Nel corso del quale raramente si raggiungono gli stimoli massimi».

Eppure la scienza va avanti. Non è un vantaggio ad esempio sapere tutti i propri parametri fisici quasi in tempo reale?

«Questo sicuramente, il fatto di essere sotto controllo rende un atleta più tranquillo. Ma io mi riferisco alle ore trascorse a provare la diagonale o a fermare un allenamento dieci volte per spiegare come dev’essere la posizione del corpo rispetto al pallone. Tutto questo va a scapito dell’intensità e della spontaneità della prestazione atletica. E senza questo aspetti, vengono penalizzati anche gli altri».

I ragazzi delle squadre Primavera, teorico serbatoio del professionismo, come lavorano?

«A parte le prime 5-6 squadre di elite, il quadro generale non è buono. Ci sono squadre che per contenere i costi in campionato viaggiano al venerdì notte in pullman, arrivano nella città della partita, mangiano, giocano e poi ripartono.Ma crescere i giovani così che senso ha?»

Da chi possiamo imparare?

«Abbiamo mandato due ragazzi a studiare il settore giovanile dello Standard Liegi, in Belgio.Le strutture sono all’avanguardia. E preparatori e allenatori sono tutti professionisti ben pagati: non perché sono più bravi dei nostri, ma perché l’attività formativa richiede il massimo impegno e di conseguenza gli investimenti adeguati».

Qualcuno sta provando a cambiare le cose?

«Sì, la Juventus adesso ha un college interno, la Fiorentina anche, qualcos’altro si muove. L’Academy è importante per la qualità di vita di un giovane atleta e per la sua crescita sportiva ed umana».

E anche per correre dietro la palla.

«Bisogna ripartire da questo. L’abilità tecnica e l’organizzazione tattica sono fondamentali. Ma se non si corre, lo squilibrio sarà sempre più evidente».

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